ANIMARE LA PAUSA, laboratorio di grafica e integrazione

Giacomo, addetto allo “scontornamento” delle foto

È un caldo pomeriggio di metà maggio. Nel laboratorio di grafica che si trova nel seminterrato dell’Istituto Caniana di Bergamo si sta realizzando un piccolo esperimento sociale: l’istituto, dove si insegnano grafica e moda, è stato scelto tra i capofila, a livello nazionale, di un nuovo progetto di “service learning” (in collaborazione con Caritas Bergamasca e Cooperativa Ruah), un mix di didattica e servizio sociale. Oggi gli studenti della 3BT (la “T” sta per “Tecnico”) lavoreranno fianco a fianco con alcuni richiedenti asilo ospiti dei centri di accoglienza di Bergamo. Cognomi lombardi e cognomi del West Africa si mescolano nell’appello all’inizio della lezione: “Fadiga, lavori con Cornolti e Bara”, “Power, lavori con Ferron”, “Toure lavori con Belati e Poli”. Dopo i cognomi, sono gli sguardi e le mani a mescolarsi, per la prima volta.

La 3BT in laboratorio

“Io mi chiamo Sofia Grisa”, spiega l’insegnante di grafica, “Durante questi quattro pomeriggi progetterete un album di fotografia nel quale deciderete insieme cosa volete mettere. L’album è diviso in tre sezioni: passato, in cui potete mettere qualcosa sulla vostra nazione, presente, in cui potete raccontare quello che fate ora, e futuro, dedicata ai vostri progetti e sogni”.

Immagini di luoghi, persone, bandiere sugli schermi dei pc sono il primo campo di contatto tra gli studenti dell’istituto e i richiedenti asilo.

I ragazzi si mettono subito al lavoro. Quasi tutti partono con una ricerca su Google immagini, la più semplice, il nome del paese da cui proviene il loro “nuovo compagno”: “Nigeria”, “Ghana”, “Guinea Conakry”, “Gambia”, “Pakistan”. Immagini di luoghi, persone, bandiere sugli schermi dei pc sono il primo campo di contatto tra gli studenti dell’istituto e i richiedenti asilo. “Cosa facevi nel tuo paese?”, “Perché sei venuto in Italia?”. “Da piccolo mio padre aveva tanti animali, lo aiutavo a portarle in giro e farle pascolare. Come lavoro facevo il contadino poi a 17 anni ho iniziato a fare il fotografo per i matrimoni in Guinea”. “Sono arrivato in Italia dalla Nigeria nel 2015 e una volta arrivato a Bergamo ho fatto un corso per imparare la lingua A1 e A2”. “Da quando sono piccolo soffro di problemi al cuore e alla respirazione, sono venuto in Italia per curarmi”.

Thomas e Mohamed

Il tempo passa e le rigidità si sciolgono rapidamente: l’atmosfera in laboratorio è rilassata, le chiacchiere e le ricerche su Google diventano molto più libere. Un gruppo di studenti parla con Henry, nigeriano, che è cantante e racconta dei pitoni che gli è capitato di vedere in vita sua. “Li hai trovati anche in casa?”, gli chiede un ragazzo. “No, not in the house!”. Risate. “Sono contenta, il mio intento è proprio questo”, racconta Sofia, “Vedere i ragazzi che interagiscono e conoscono nuove realtà, a modo loro. Lo scopo didattico è stato un po’ il pretesto per creare questo tipo di comunicazione, un rapporto uno a uno, alla pari”. Arriva il momento di fare una pausa nel giardino della scuola.

Henry con alcuni studenti della 3BT

All’ombra dei container che ospitano una scuola di sci (anche estiva), un capannello di ragazzi circonda Henry. Gli chiedono di sentire le sue canzoni. In una sorta di Spotify dal vivo si passa poi a quelle di rapper italiani come Capo Plaza, Tedua, Ghali, portavoce di un mondo mix e colorato.

Alcuni richiedenti parlano di Londra con delle ragazze che ci sono state, “Bella Londra, anch’io vorrei andarci”, dice uno di loro.

L’intervallo dovrebbe durare un quarto d’ora ma il dialogo è così rilassato (e fuori si sta così bene) che a Sofia spiace interrompere il flusso: alcuni richiedenti parlano di Londra con delle ragazze che ci sono state, “Bella Londra, anch’io vorrei andarci”, dice uno di loro. Lei ha preso un volo Ryanair, per lui l’unico modo sarebbe saltare su un camion a Calais e sperare di riuscire ad arrivare di là, vivo.